lunedì 3 novembre 2008

Per una scuola libera e plurale

Ricevo da Giuseppe Sesta un intervento molto pragmatico, quindi non ideologico, a proposito di scuola pubblica e privata. Intervento che molto volentieri pubblico.


Se sono decisamente da condannare le strumentalizzazioni politiche che hanno accompagnato le polemiche suscitate dal recente Decreto del ministro P.I. Gelmini sulla Scuola, non si può tuttavia negare che sulla base di una diversa visione del come educare possa sussistere un legittimo dissenso circa alcuni dei provvedimenti proposti dal Ministro. Pensiamo al ripristino del maestro unico, del grembiule, del voto in condotta, della votazione in decimi e così via. Del resto nihil novi sub sole, se si pensa alle analoghe proteste che hanno accompagnato tutti i precedenti tentativi di modificare la Pubblica Istruzione.

Dicevo dunque che non deve fare meraviglia tale diversità di giudizio nella pubblica Opinione, perché nulla è talmente opinabile come la cultura e l’educare dato che è in tale campo che si esprime al suo massimo livello la libertà dell’uomo. E proprio per questo qualsiasi Riforma di Stato della Scuola non potrà mai godere di un unanime consenso. Proprio per questa neutralità obligatoria imposta dalla necessità di raccogliere il più ampio consenso possibile o meglio la minore opposizione possibile, la Scuola di Stato è destinata ad essere una Scuola senza anima una non Scuola.

Anche in assenza di altri argomenti, sarebbe questo un motivo sufficiente per aprire alla Scuola Privata o non Statale una Scuola cioè che si propone di soddisfare le particolari esigenze educative di un determinato gruppo di famiglie, piuttosto che rispondere ad una non meglio precisata domanda formativa nazionale.

Infine anche se può sembrare paradossale, il Decreto attuale può essere criticato più per la imposizione di opinabili scelte educative, come il maestro unico, il voto in condotta e simili che per i tagli economici imposti da una oggettiva situazione di sprechi e di esuberanza di personale. Senza considerare che una liberalizzazione della Scuola risolverebbe anche il problema economico se è vero che un alunno pubblico costa più di un alunno privato. Ed allora lo Stato imponga soltanto l’apprendimento della lingua, della Storia, della cultura italiana e della nostra Costituzione, lasciando nella disponibilità dei genitori quanto spende per ogni alunno , in modo che siano loro a scegliere quali scuole di Stato o Private siano meritevoli di essere mantenute. Ogni Preside verrebbe a godere di un budget proporzionale al gradimento riscosso e potrebbe scegliere e pagare i suoi professori a suo arbitrio. Credo che sarebbe la rinascita della Scuola, della Cultura e della libertà.

Giuseppe Sesta
Palermo, 2 Novembre 08

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domenica 2 novembre 2008

Ulisse - Il Regno delle Due Sicilie




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Caro Ministro (Zaia)... di Corrado Vigo

Ricevo dall'amico Orazio Vasta, e molto volentieri pubblico:

Caro Ministro Zaia,

Sono una agronomo, ma al contenpo un agrumicoltore, e discendo da famiglia di agrumicoltori.


Faccio la professione da 24 anni, e da 29 coltivo arance, le tanto bistrattate arance siciliane, che tutti amano, ma che ci stanno portando economicamente alla rovina, perchè nonostante gli elevati prezzi di vendita al consumo, a noi vengono pagate a prezzi irrisori.

L'anno scorso anche fra i 5 ed i 7 centesimi al chilo.
Sì ha letto bene! 5-7 €urocent al chilo.

Mi rammarico, però, del fatto che Lei sia poco attento alla questione, ma la vedo assai impegnato, invece, nella tutela (come è anche giusto che sia) dei prodotti della Sua terra.

Vorrebbe, per favore, dare un pò più di "conto e retta" alle problematiche di noi agricoltori del sud?

Corrado Vigo

Trecastagni, 2 novembre 2008

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La Scuola? Al servizio non della cultura, ma dell’ideologia dominante

Ho vissuto per quarant’anni nell’ambito dell’educazione e della scuola e mi sono occupato a fondo della libertà dell’educazione in Italia.
Intervengo per dire qualcosa di serio e di costruttivo che dia un po’ di dignità e ragionevolezza, cioè andando oltre quello che vediamo e sentiamo ogni giorno. Abbiamo proprio visto di tutto: bambini che sfilano in corteo sotto striscioni che fanno fatica a leggere, insegnanti in lutto, politici che sproloquiano nelle scuole dell’infanzia, i reduci del ’68 che si infiltrano nei cortei come per prendere una boccata di ossigeno che allontani di qualche tempo l’ineluttabile “rigor mortis”. Così il “virtuale” si è sostituito al reale: ed in un’orgia di isterismo e disinformazione abbiamo dimenticato la realtà quotidiana.


di Monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino



La realtà quotidiana è che nella scuola italiana si fa fatica a studiare e ad imparare perché l’insegnamento si è dequalificato. Abbiamo dimenticato che nella scuola italiana si può morire di spinello durante le ore di scuola; che durante gli intervalli si filmano scene di sesso che vengono poi inviate ormai a vari siti; che in certe scuole, non poche, durante l’intervallo gli insegnanti stanno tappati nell’aula professori per evitare violenze non solo verbali; che presidi e professori sono stati malmenati da genitori e studenti per protesta a certe valutazioni scolastiche; che più di una volta i carabinieri sono entrati in varie scuole ad arrestare studenti spacciatori di droga.

Questa non è tutta la realtà, ovviamente, ma è un pezzo della realtà scolastica che dovrebbe interpellare tutti, soprattutto gli adulti, seriamente. Alcune delle cose predisposte dal Ministro – ovviamente mi evito un giudizio analitico che non mi compete – mi sembrano dettate dalla più grande virtù del popolo italiano: il buon senso. Comunque bisogna proprio riconoscere che in Italia sono impossibili due cose parlare male di Garibaldi e tentare di riformare la scuola. La scuola dello Stato Italiano fa corpo totalmente con l’idea della Nazione e dello Stato ed ha costituito negli ultimo 150 anni del nostro paese una sorta di liturgia di questo universale culto dello Stato.

La verità è che la scuola italiana è sempre stata al servizio non della Cultura, ma della ideologia dominante. Così abbiamo avuto la scuola unitaria e liberale e poi la scuola fascista e poi la scuola azionista e socialista. I cattolici sono stati così improvvidi che negli anni ’50 e ’60 hanno tirato fuori la strampalata teoria della scuola “neutra” che ha favorito la sua occupazione da parte delle più diverse ideologie rivoluzionarie e negative. Abbiamo avuto la scuola marxista e neo-marxista e radicaleggiante: e adesso abbiamo la scuola tecno-scientista.
Mi sembra venuto il momento di andare, se possiamo e vogliamo, oltre questo schema ideologico e ricordarci che la scuola non deve servire nessuna ideologia ma la cultura: cioè l’istanza di senso ultimo, di verità, di bellezza e di giustizia che caratterizzano la coscienza dell’uomo nel suo porsi immediato.

Allora forse ci si renderà conto che la scuola deve essere un ambito di convivenza libera, fra culture diverse (perché nel nostro Paese ci sono ormai culture diverse) e la convivenza libera e impegnata di queste culture deve sostenere un insegnamento, a tutti i livelli, appassionatamente critico: cioè formatore di personalità critiche.
Potrà apparire allora assolutamente legittimo e necessario il formarsi di un sistema scolastico che, gestito dallo Stato, sia libero e pluralistico nelle sue articolazioni educative, culturali e didattiche. Senza pluralismo educativo e scolastico muore la democrazia: perché la democrazia è anzitutto un costume, un dialogo profondo, libero e rispettoso fra culture diverse, che proprio nella consapevolezza critica della propria diversità contribuiscono al bene comune del Paese.

Marco Minghetti, ministro della Pubblica Istruzione del neonato Regno di Italia concludeva il dibattito parlamentare sullo stato dell’istruzione del Paese nel 1864 con queste parole: “In linea di principio sarebbe meglio un sistema di libertà scolastica, ma se ne approfitterebbero i clericali”.
Dobbiamo amaramente riconoscere che la questione scolastica, in Italia, è ferma a queste parole.

Nel dibattito (si fa per dire) che si è acceso in questi mesi tre personalità (e non della “mia parrocchia”) mi hanno colpito per l’intelligenza, la libertà e l’equilibrio con cui sono intervenute: Luigi Berlinguer, Giampaolo Pansa ed Aldo Forbice. Oltre ovviamente il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, cui va la mia gratitudine di cittadino italiano e di vescovo della Chiesa Cattolica.

+ Luigi Negri,
Vescovo di San Marino - Montefeltro

Il Resto del Carlino, martedì 28 ottobre 2008


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sabato 1 novembre 2008

Lombardo ha detto qualcosa di Siciliano!

Lombardo: "Mai un grande evento in Sicilia"


di Tony Zermo

Letizia Moratti, in una lettera al «Corriere della sera», dice che i 15 miliardi per l’expo 2015 a Milano serviranno a tutto il Paese e aggiunge di aver criticato i 140 milioni dati a Catania perché sarebbe stato giusto darli anche agli altri Comuni e infine che non era una questione Nord/Sud, ma piuttosto una questione di merito.


Cosa risponde il presidente Lombardo?

«L’Expo servirebbe al Paese anche se fosse a Palermo o a Catania, a meno che non ci siano due Paesi, come ci sono: uno di Serie A dove se si fanno le cose servono al Paese e uno di Serie B dove se si fanno le cose servono a sfamare i parassiti insaziabili. Con tutto il rispetto credo che il centenario del terremoto di Messina si sarebbe potuto celebrare con un grande evento. Con tutti i soldi che si stanziano per un evento una città si veste a nuovo, si dota di infrastrutture. Come accade quando si fanno le Olimpiadi invernali a Torino o quando si fanno i campionati del mondo di calcio. Arriva una pioggia di miliardi per cui le città cambiano volto».


La Moratti dice che l’Expo potrebbe coinvolgere anche la Sicilia.

«Ma perché, quando hanno fatto le Olimpiadi invernali è stata forse cointeressata in qualche modo la Sicilia? Dico finiamola. E l’Expo è una cosa, e l’Ici viene pagata con le entrate nostre, e la Tav si ferma a Napoli, e sul casinò stiamo assistendo all’insurrezione delle quattro case da gioco del Nord che non lo vogliono dare al Sud. Mi dicono che con i fondi Fas si stia per finanziare per decreto l’aumento dei costi delle imprese di costruzione e poi per i 140 milioni a Catania ci dobbiamo sentire insultare un giorno sì e un giorno no, come se questo fosse l’esempio di chissà quale malcostume. Sui termovalorizzatori c’è ancora da conquistare questo mitico Cip 6, senza il quale i termovalorizzatori non si potranno fare perché la tariffa sarebbe così alta da metterli fuori mercato. Ogni nostro diritto dev’essere conquistato a sudore di sangue».


Ora c’è l’assalto delle grandi aziende italiane a Tripoli per i 153 miliardi di appalti in Libia e la Sicilia sembra tagliata fuori.

«Purtroppo non abbiamo grandi imprese alla stregua di Impregilo, però qualche media impresa l’abbiamo e come. Abbiamo qualche azienda di costruzioni seria anche a Catania che si affaccia dignitosamente sul mercato nazionale, c’è il marmo di Custonaci, la pietra lavica dell’Etna».


Così come per gli appalti dell’Expo, anche per i lavori in Libia nessuno ha pensato di coinvolgere la Sicilia.


«Purtroppo c’è una continuità nella disattenzione nei confronti del Sud che francamente non possiamo limitarci a riflettere, dobbiamo organizzarci e reagire per farci valere. Quei signori che dicono che non è giusto che con le tasse del Nord si finanziano gli sprechi del Sud dimenticano che queste tasse sono il frutto del lavoro delle industrie che si sono costruite e affermate nel Nord con i denari provenienti dalle casse del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli che ammontavano a due terzi in lire e oro dei depositi di tutte le banche italiane. Napoli e Palermo avevano custoditi nei loro forzieri 420 milioni dei 630 milioni di lire/oro quando si fece l’Unità d’Italia. Dopodiché tutto prese la via del Nord. Il regno delle Due Sicilie vantava tali di quei primati da restare a bocca aperta: la prima ferrovia, il maggior numero di aziende metalmeccaniche, il tessile, il più alto numero di giornali, la prima assistenza sanitaria, il primo ponte sospeso sul Garigliano, la prima cattedra di Economia all’Università di Napoli, la prima cantieristica perché a Napoli c’era la più grande flotta militare dopo quella inglese. Siamo stati spogliati di tutto e ora ci piangono quei miserabili 140 milioni».


Presidente, stiamo parlando di 150 anni fa...

«Sì, ma quando Angelo Moratti impiantò sulle spiagge siracusane la sua bella raffineria era appena mezzo secolo fa. E quante tasse i Moratti non hanno pagato alla Sicilia come avrebbero dovuto in base all’articolo 37 del nostro Statuto perché la loro sede legale era altrove? Lo so che da molto tempo hanno ceduto la raffineria, che è un discorso vecchio e che allora la Moratti era appena nata, ma sulla questione non ha detto nulla».

LaSicilia.it, 29 ottobre 2008

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